È il 29 settembre 1956, un tiepido pomeriggio di fine estate.

La luce pallida del sole calante illumina la scala di casa Renaudo, dove gli sposi Luigi e Teresa posano con i parenti tutti in abiti eleganti, dopo essersi sposati nel tardo mattino nella chiesa di Santo Stefano coronando il loro sogno.

Questa foto ritrae gli invitati in un momento di leggerezza, con gli sposi – che sarebbero in seguito diventati i miei suoceri – sulla scala di casa circondati da amici e parenti nel cortile di borgata Gavì.

Al centro gli sposi eleganti come la circostanza richiedeva; alla destra della sposa Teresa, la mamma, che sembra un po’ “preoccupata” ed il fratello Giovanni Battista (G.B.).

Vicino allo sposo magna Neta, con a fianco barba Nalu (Giovenale), alle sue spalle la moglie magna Clara.

S’intravede alle spalle barba Bernard con il piccolo Luigi (Serale) in braccio.

Di fianco a barba Nalu, con il cappello in testa – così come me lo ricordo sempre- Rina moglie di Musso Giovanni Battista (Batista ‘d Giuli) che si vede sorridente in mezzo alle signore in alto sulla scala.

Il giovane in maniche di camicia è Armando Giuseppe (Beppe di Mura) ed un gradino più sotto la sorella Giovanna. Fa corona, a questo bel quadro di amici e parenti in festa, la semplicità della borgata dove c’era solo l’essenziale, ma la vita, seppur dura, era serena, con buone relazioni, solidarietà e aiuto reciproco.

Di questo bel gruppo di persone care rimangono solo quattro adulti, tutti arzilli quasi novantenni e quel bimbo anche lui oggi nonno.

Analizzando questa foto possiamo notare come gli sposi Luigi e Teresa non sono più giovanissimi; in effetti Luigi ha già compiuto 41 anni. Viene quasi spontaneo chiedersi: “Come mai così tardi?”.

Eh…. Si. Luigi è nato il 18 marzo 1915. Non è un momento facile per nascere, nell’Italia nord-orientale sta iniziando un conflitto mondiale che provocherà milioni di morti, povertà e distruzione.

Luigi, diventato adulto, sarà coinvolto ancora suo malgrado in un altro conflitto, la Seconda Guerra Mondiale.

Partecipò alla campagna in Albania e Grecia, ricordava spesso il suo sbarco a Valona e le disavventure che presagivano già la disfatta successa nei primi giorni.

Dopo l’8 settembre venne internato in Germania: ricordava spesso che tornando alla sera dal lavoro duro cercavano di recuperare per terra qualcosa di scarto da mangiare; una sera venne colpito al capo da una guardia con il calcio di un fucile: caduto a terra si ritrovò col viso nel fango ed un pastore tedesco che gli ringhiava ad un palmo dal naso. E, sottolineo, questo solo per voler recuperare una buccia di patata (“kartoffen” ripeteva lui), nel fango, per lenire i morsi della fame.

Ricordava mio suocero che, appena tornato, non c’era più niente, morale e fisico a terra, futuro da ricostruire, senza certezze.

Riprendere il lavoro dei campi e mettere insieme pezzo a pezzo i rapporti con i vicini, amici e paesani. E poco alla volta mettere da parte risorse per poter avere una stanza, in modo da condividere con la propria sposa una vita dignitosa ed un minimo di intimità. Ma il tempo passa molto veloce ed ancora di più sicuramente quando hai dei sogni da realizzare.

Ecco perché passeranno parecchi anni, sicuramente pesanti per il duro lavoro e la sfibrante attesa. Mio suocero era un uomo buono, paziente, sempre scherzoso. Ricordo che, quando qualcuno scherzosamente gli chiedeva perché fosse così magro, diceva: “Mio fratello gemello (che ovviamente non c’era), era più forte e più grosso, succhiava tutto il latte della mamma a me rimanevan solo poche gocce”.

Quando però ricordava gli anni passati in prigionia scendeva nei suoi occhi un’ombra triste, quasi a voler dimenticare quegli anni persi, spesi per una Patria Ingrata.

PS per gli anni donati alla patria, la stessa lo ripagò con un aumento della pensione di 15000 lire al mese: giudicate voi.

Piero Aimar