La fotografia ci presenta la facciata, verso Via Roma, della casa della famiglia Franco, la mia famiglia di origine.

In quegli anni, intorno al primo decennio del ‘900, i miei prozii: barba Cichin (Francesco), magna Bina (Barbara) e magna Carlòta (Carlotta) gestivano la tabaccheria, il caffè ed il ristorante, come dicono le insegne. Le prozie sono vicine all’entrata del negozio; con loro c’è la signora Bramardi, proprietaria della casa dall’altro lato della strada, con i bambini. Accanto alla porta del ristorante è appoggiata una bicicletta che ha una borsa di cuoio, fissata alla sbarra; probabilmente lasciata lì da un avventore che si trovava all’interno del locale, per rifocillarsi. Non tutti in quel tempo potevano permettersi il lusso di una simile bicicletta; tanti andavano a piedi. Dietro le due finestre c’era la sala del ristorante; le due piccole finestre in alto, invece, davano luce ad una grande stalla, la cui entrata era dal cortile. Due rigogliose viti raggiungevano il piano superiore e producevano una bella quantità di uva mericana.

Giovanni Battista, il quarto fratello, era andato a vivere a Pietraporzio, dove faceva il panettiere; si era sposato con Marianna Andreis che gestiva la tabaccheria del paese. Nel 1901 era nato un figlio, Battista; qualche anno dopo una sorellina, Carolina e nel 1913 Lorenzo, il mio papà. Purtroppo nel 1917 era morta la mamma, di spagnòla. Il più piccino aveva solo quattro anni e le zie di Cervasca si erano offerte di prendersene cura. Nel 1926 morirà anche il papà e così Lorenzo rimarrà a Cervasca, allevato dagli zii, che erano da sposare, come se fosse il loro figlio.

I prozii avevano tanto lavorato e tanto economizzato per arrivare ad avere la piena proprietà di quel grande edificio. Poi avrebbero potuto considerarsi una famiglia abbiente, invece per tutta la vita avevano conservato le abitudini al risparmio; non potevano più farne a meno e papà era stato educato a fare altrettanto.

Le prozie si occupavano del ristorante e del negozio che era un piccolo emporio. Oltre al monopolio del sale, dei tabacchi e delle essenze, come il chinino di stato, avevano molte altre licenze di vendita: alimentari, bevande, giornali e numerosi altri prodotti. Era il prozio Cichin che ogni martedì andava a Cuneo per il rifornimento del sale e del tabacco; poi c’era il servizio postale, c’erano i giornali ed anche il servizio pubblico di trasporto persone, per andare al mercato o per altre necessità.

Nel cortile aveva più carrozze, dal calesse per due sole persone alla carrozza più grande che poteva trasportarne ben sei. Ricordo ancora una targa di metallo che aveva questa scritta: “Franco Francesco. Vetturale. Cervasca”. Inoltre era suo compito occuparsi dei cavalli degli avventori del ristorante. Li sistemava nella stalla e dava loro cibo e acqua. Nella stalla c’erano anche due mucche della famiglia ed il cavallo che tirava le carrozze.

Quando poi c’era la festa del paese, la Carminela, il cortile diventava un’osteria all’aperto; si sistemavano molte panche e tavoli, perché in quel giorno gli avventori erano numerosi; per quella festività tutte le famiglie si permettevano il lusso di una consumazione all’osteria, dopo le funzioni religiose.

Nella normalità invece il bancone della tabaccheria funzionava come bar perché sotto erano risposte le bottiglie. A volte le donne che entravano per comprare prodotti per casa, chiedevano anche un bicchierino di marsala. Una piccola “cresta” sulla spesa!

Il papà, a mano a mano che diventava grande, prendeva parte a ogni attività.

A metà degli anni ’30 anche mia mamma, Rita, aveva cominciato a lavorare da loro. Fin da bambina era andata da serventa nelle cascine della pianura; dalla primavera a San Martino; solo d’inverno poteva frequentare la scuola. Ormai grandicella aveva trovato questa opportunità di lavoro e ne era ben contenta anche perché abitava lì vicino. Spesso la sera, prima di tornare a casa, magna Bina le dava il permesso di prendere un pezzo di pane. Aveva il cuore buono!

E poi era nata la simpatia, diventata amore per Lorens, ma era arrivata la guerra e papà aveva dovuto partire; fortunatamente era stato destinato alle cucine. Il 1941 fu un anno davvero particolare. A maggio morì magna Bina (era del 1867); papà perse un dito macinando la carne e poté ritornare a casa e sposarsi con mamma, ma a novembre morì anche magna Carlòta (era del 1890) e all’inizio del 1942 morirà pure barba Cichin (era del 1869).

Erano rimasti solo loro due a portare avanti l’attività. Avevano lasciato il ristorante; erano anni di guerra e i clienti scarseggiavano; anche il servizio delle carrozze era diventato obsoleto. Nel dopoguerra le attività erano cambiate in fretta, ma la tabaccheria andava alla grande.

Papà andava a ritirare i prodotti del monopolio in bicicletta e poi in vespa; aveva fatto un accordo con Granaja (Giovanni Revello) che si faceva trovare puntuale a Cuneo e caricava i prodotti sul camioncino per portarli a Cervasca.

Una vecchia foto riesce a dare vita a uno squarcio di società, ormai lontana lontana dalla nostra realtà.

                                                      Barbara (Nuccia) Franco