Una mostra, a cui partecipano una quantina di artisti, è sempre un evento per una fiera di paese e merita una piccola cerimonia di apertura, con gli amministratori locali, artisti, associati a Vivere Cervasca. Non lunghi discorsi, ma la sottolineatura dell’importanza del tema proposto e il ringraziamento a quanti hanno accettato la sfida.
Nel pomeriggio di sabato e in tutta la giornata di domenica, centinaia di persone hanno effettuato il lungo e interessante percorso nei quattro locali della confraternita, l’aula, il coro, la sacrestia e l’aula laterale. Con atteggiamenti diversi: chi si offermava a lungo sulle foto e chi faceva l’esatto contrario, ammirando le pitture e le altre opere; chi sceglieva opere descrittive e chi si orientava per l’astratto; chi scorreva velocemente e chi si fermava a lungo.
E infine, due opere che hanno fatto discutere: a sinistra, il bosco che muore dell’amica Bruna e, a destra, la goccia di Tamburrini.
“Mi piacciono i quadri di cui capisco il significato e non devo chiedere all’autore che cosa voleva dire”, ha affermato un visitatore di passaggio. Invece i bambini e le persone di particolare sensibilità hanno letto bene la morte di un abete e altre piante con foglie dai colori autunnali e le tinte chiare che non dicono più vita.
Quanti giovani e gruppi familiari con bambini si sono soffermati davanti alla goccia. Mi sono spesso soffermata ad ascoltarli e ad intervistarli: cosa è la mano? Perché tubi così robusti? Cosa dice la goccia? La mano è senza vita: il pallore estremo e il contesto desertico comunicano un bisogno radicale di acqua; ma la mano è anche accoglienza di quell’unica goccia; è anche richiesta di aiuto. Più difficile capire perché le tubazioni sono così consistenti. Invece la goccia è, per molti, l’ultima goccia che esce dall’acquedotto e deve essere accolta e rispettata come tale. Per altri, la goccia è segno di speranza e fiducia nel futuro.